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Sognamare

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“SOGNAMARE”

“ Il mare, se sei libero, ti sarà sempre caro!
È il tuo specchio; la tua anima contempli nell’infinito svolgersi dell’onda; né il tuo cuore è un abisso meno amaro…
(Charles Baudelaire)

Giacomo Bacci è un giovane originale artista che deve la sua formazione alla vicinanza con artisti e artigiani fiorentini, alla bellezza della città in cui vive, ma anche al tempo che trascorre ogni giorno nella storica stamperia fiorentina di Filippo Becattini, nella quale ha modo di assimilare le tecniche dei vecchi maestri torcolieri, di cui ne subisce il fascino e l’entusiasmo al lavoro, quella tradizione artigiana consolidata dallo studio, ma proiettata e aperta al futuro, aperta a nuove possibilità, capaci di tradursi in opere sublimi che si rivolgono direttamente alla nostra sensibilità di uomini calati nel presente. Un ulteriore influsso, deriva dal padre Daniele Bacci, bravo fumettista e disegnatore, il quale facendo valere il suo archetipo di padre, diventa una figura con la quale Giacomo si confronta e da cui assimila soprattutto l’uso della matita e della china, genesi di quelle tecniche incisoree che poi approfondirà con il tempo, studiando l’importanza del segno che talvolta imprigiona, quasi come un limite, le sue figure.

In questa nota critica porrò in evidenza fascinazioni e una sorta di continuità con artisti come A. Modigliani, F. Pirandello, O. Rosai e F. Clemente, che appartengono all’immaginario di Bacci e a quello collettivo, dimostrando una continuità stilistica e narrativa che non cessa di declinarsi in originali forme espressive che si articolano dalla pittura al disegno, dall’incisione alla litografia. Quest’ultima in particolare, eseguita su matrice di pietra, sancisce il ritorno al disegno puro, sia di tipo grafico che pittorico, in una resa fedelissima della pura libertà disegnativa nei ritocchi e nelle lumeggiature, e che consente inoltre di affidare a un tecnico specializzato, l’intero processo esecutivo della morsura in alte tirature; pratica nella quale Giacomo da ampio saggio delle sue capacità in soggetti talvolta ripresi nelle opere più meditate in pittura.

La personale di Bacci, attraverso differenti espressioni artistiche, ha come tema conduttore, il mare, questo elemento visto come un punto di partenza di un viaggio di sublimazione interiore, un rito di iniziazione alla scoperta del proprio animo e di quello altrui, a partire dal mondo e dalla realtà che conosce e che appassiona Giacomo, quella realtà popolare fatta di piccoli grandi uomini semplici, animati da grandi ideali e da valori ancora autentici nei quali si riconoscono. L’uomo va nel mare, a contatto con l’acqua, elemento da cui, per Bacci, ha avuto inizio la vita, ma la cui vita, per l’uomo, è ostica in quell’ambiente, e quindi richiede un ritorno sulla terra ferma, altro importante elemento, sulla quale l’uomo diventa un personaggio che evoca la poetica pirandelliana, smarrito e alla ricerca, che ama la solitudine del mare, i ritmi calmi e scanditi del cosmo, ma che necessita tuttavia di una sua realizzazione all’interno di una società multiforme, culturalmente popolare, fatta di mercati, di tradizioni, di socialità, di famiglia. Dal mare all’entroterra, e lì, uno spazio ancora da indagare in uno svolgimento e in un finale ancora da scrivere, o forse sarebbe meglio dire, ancora da dipingere, magari oggetto di prossime esposizioni.

L’osservatore viene accolto da un grande quadro,“Incrocio”, che rappresenta un incontro fra persone: opera agita come se fosse un graffito destinato ad un’ampia visione pubblica, il quale propone una porzione di umanità che si osserva durante un incontro occasionale e fugace, contaminandosi: quella socialità fatta di uomini e donne che accolgono l’osservatore e si fanno osservatori del loro pubblico intento a compiere questo viaggio emotivo ed emozionale guidato dalle opere di Bacci, opere che esprimono una bellezza, “Einfuhlung”, che noi possiamo cogliere solo per via di sentimento, capace di evocare suggestioni, in opere che appaiono avvolte da un tempo sospeso, nelle quali forte è l’interrogativo sul significato dell’esistenza e, quindi, del proprio essere, in condizioni diverse, nel mondo. Così opere come “le sirene”, “il pescivendolo”,“gli uomini che cercano il mare”, “il portuale”, esprimono atteggiamenti che riassumono tutta un’umanità alla ricerca dell’acqua come punto di partenza del viaggio conoscitivo, e quindi come elemento di salvezza.

E poi la magia dei ritratti, la magia di quei volti sospesi che esprimono una concentrazione, un’attesa carica di suggestione.
Come non vedere nella scelta di questi soggetti l’opera di Ottone Rosai ( 1895-1957), probabilmente parte dell’immaginario di Bacci, il quale rappresenta figure che provengono da una Firenze povera, dimessa, popolata di uomini stanchi e oppressi, espressa attraverso un colore denso e sporco, talvolta triste, che non sembra interpretare il clima trionfalistico dell’Italia fascista fra le due guerre, ma che narra una vita fatta di persone semplici che si incontrano, parlano, giocano a carte, oppure suonano piccoli concerti, calati in prospettive alle quali manca il rigoroso controllo della realtà. (Rosai,“Suonatori”, 1928, olio su tela, Varese, Collezione privata). I disegni a penna di Giacomo con i suoi musicisti evocano questo immaginario, resi con efficacia nel reticolato del tratto, così come tutti gli altri soggetti rappresentati nei quadri di grandi dimensioni, soli o in gruppo, sembrano mantenere lo stesso clima compositivo.

Tuttavia il silenzio meditativo che evocano queste figure, è rotto da una linea nera di contorno che esprime la necessità di indagare le forme, di conoscerle mediante l’intelletto. La linea molto marcata traduce un’idea di finito, di forza, di limite ben in vista, e in parte di insicurezza e di insicurezze che lo portano a elaborare e a sperimentare diverse soluzioni. Il contorno contiene e deve contenere il lavoro interno e interiore della figura, in una prassi esecutiva che segna prima il volume e poi il suo riempimento: Bacci ha bisogno del segno forte per marcare una fine, un limite oltre il quale l’opera e la sua ideazione non possono andare, e quindi distaccarsi dall’animo dell’artista per lanciarsi nel mondo. Un limite che perimetra una dimensione conoscitiva interiore di cui è geloso e che fatica a lasciar andare. Un primo tratto, chiaroscurato con precisione quasi accademica, viene poi sopraffatto da un segno marcato, teso, che porta con sé i ricordi delle xilografie espressioniste.

Tuttavia quel segno è anche quello della tradizione fiorentina che esprime, nel disegno, il primato e l’assoluta indipendenza dell’arte attraverso il riconoscimento dell’artista, una linea che, azione dell’intelletto, indaga la forma, la genera, in una fase progettuale che lascia traccia nella sua esecuzione. Dietro a quel segno, che in natura non esiste, ma che esiste nella mente dell’artista, c’è una volontà di riscatto, la volontà di ribadire un segno d’esistenza, antico e moderno, particolarmente significativo se attorno c’è un individualismo sfrenato, segno dei nostri tempi, animato da un consumismo che porta allo scarto, sopratutto se ci si rifiuta di adeguarsi a dei modelli che ci vengono imposti, ma che spesso non corrispondono alla matrice originale del nostro essere, quella matrice originale, pura, che i protagonisti delle opere di Bacci rivendicano.

L’artista probabilmente più presente nella mente di Giacomo è sicuramente Amedeo Modigliani (1884-1920) proprio perché anche per lui, alla chiara intelligenza della verità non si giunge con l’intelletto, ma con il sentimento. Nei suoi dipinti i contorni fortemente segnati saldano, in una sola superficie, i piani a profondità diverse, con le varie parti della figura, in soggetti inerti, indagati da acute notazioni psicologiche che esprimono un’infinita e dolcissima malinconia. La linea talvolta appare pesante come un solco nero scavato nella massa del colore, altre volte è sottile, filiforme, mentre il colore, ora denso, ora magro, ora modulato in tonalità tenui, fa apparire il piano come una massa impregnata di luce costretta entro le salde linee dei contorni. Modigliani vive ed esprime una profonda inquietudine interna che nasce dal vuoto dell’esperienza romantica; perciò non accetta l’idea di una pittura analitica, la pittura deve essere poesia. Inoltre Modigliani condivide le stesse suggestioni artistiche di Bacci che spaziavano soprattutto dall’arte gotica italiana a quella rinascimentale, con particolare riferimento a Simone Martini e Botticelli, dai quali apprende il significato della linea di contorno che definisce l’oggetto, lo costruisce e, al tempo stesso, diventa mezzo espressivo.

La stessa stilistica è ripresa da Bacci in volti estremamente poetici, marcati dal segno, sempre rappresentati con gli occhi chiusi, come a cancellarne l’identità, o la volontà da parte del soggetto, ma anche del pittore, di estraniarsi da una realtà, da un mondo, che non capiscono, che rifiutano, e dal quale si sentono estranei, per rifugiarsi nel sogno appartenente al proprio mondo interiore. Mostrarli con gli occhi chiusi è come togliergli l’identità, e togliere l’identità significa alleggerire un retaggio pesante di tradizioni, legami, condizionamenti che ci portiamo appresso. Bacci predilige l’occhio chiuso perché permette di guardarsi dentro senza essere influenzati dall’esterno, non identifica il soggetto e lo rende misterioso, aperto al sogno, esattamente come da un sogno della mente di Bacci nasce l’immagine, desiderando a sua volta che l’osservatore si fermi ad immaginare e a fantasticare sui pensieri nella mente dei suoi soggetti, dandoci l’opportunità di farli nostri, cioè di lasciarci influenzare dal nostro animo e dal nostro vissuto quotidiano.

Come in “Pescatori di tonni”, nel quale il pittore ripercorre la sua infanzia, la memoria della Sardegna, il fascino della pesca in mare aperto che per lui rimane un sogno mai realizzato. Un quadro tono su tono che sembra immortalare un canto capace di scandire teatralmente il ritmo del lavoro, un’antica sapienza poeticamente rappresentata in una composizione dove la prospettiva sembra quasi lasciar spazio a una trecentesca proporzione gerarchica, che esalta l’uomo al centro impegnato ad esercitare la nobiltà del suo lavoro, quasi come un burattinaio che, fischiando, sembra muovere a ritmo i fili collegati alle membra dei pescatori intenti al lavoro. Subito dopo, faranno ritorno a terra per vendere il frutto del loro travaglio.

Come non vedere in quest’opera un richiamo figurativo al “Remo e la pala” del 1933, di Fausto Pirandello (1899-1975), conservato al museo del Novecento di Milano; un pittore appartenente alla così detta “Scuola Romana” fondata verso il 1927 da Scipione, Mafai, Raphael e Mazzacurati, che si propone di investire la realtà oggettiva della propria emozione, plasmandola secondo la sua visione interiore. «La vita, o si vive o si scrive. Io non l’ ho mai vissuta, se non scrivendola», aveva detto Luigi Pirandello: e su questa antinomia, così fondante per il pensiero pirandelliano, pare riflettere Fausto nel suo quadro, capace di esprimere una ricercata ambiguità fra una vita flagrante, odorosa di una quotidianità fin grevemente narrata, e una sua simbolica amplificazione; in altre parole una contaminazione fra realtà e sogno.

In modo analogo accade nelle opere di Bacci, il quale coglie la vita, vissuta nel suo intimo, attraverso una pittura nella quale il colore, carico di una forza narrativa, viene utilizzato tono su tono senza tinte contrastanti o complementari. Si crea cioè un inquinamento continuo di tinte nelle quali il colore viene trattato come un tessuto, come un sipario o un fondale su cui si stagliano le figure, aprendosi all’ignoto. Un ipotetico palcoscenico sul quale di presenta il soggetto ricavato da questa tavolozza creativa. Probabilmente è questo il motivo che mi lega emotivamente a Bacci, io uomo di teatro, trovo la sacralità del gesto e la profondità psicologica e introspettiva delle sue figure, trattate con quella sintesi necessaria in una messinscena che deve avere, dalla sua, la forza della narrazione.

La luce diffusa rende omogenei i volumi e crea una fusione tra il soggetto in primo piano e lo sfondo alle sue spalle, senza rinunciare tuttavia a dilagare sulla pelle, e in particolare sul volto, marcandone l’espressività. Il volto infatti è espressione dell’anima, e l’anima è seduzione poiché da essa promana, così che messo su tela, quell’ineffabile volto, può avere anche gli occhi chiusi, perché la luce che lo accarezza, è luce dell’anima. Occhi grandi, chiusi, resi evidenti e loquaci, che non vogliono vedere il mondo, ma che tuttavia si fanno toccare dalla luce per concentrarsi su un desiderio, un piacere, o un ricordo di qualsivoglia natura, ma reso importante dal segno, dal disegno.

Pittura e poesia si fondono anche nelle opere della Transavanguardia degli anni ’80 di cui Bacci sembra subirne le influenze, la quale nasce per rilanciare una tecnica eterna, attraverso il recupero del primato della manualità accantonata dalle avanguardie degli anni precedenti; la stessa manualità che Giacomo reclama in pittura e nelle opere grafiche. L’arte di quel periodo, ancora viva ai nostri giorni, evoca una magia, una volontà di seduzione e di piacere del tutto particolari e originali di cui Bacci sembra figlio, anche se è nato poco dopo, e in particolare di un artista, Francesco Clemente (1952), il quale attraverso l’uso di diverse tecniche, esprime un’idea di arte per niente drammatica, che riesce a trovare nella leggerezza, la possibilità di un’immagine trainata dalla ripetizione e dalla differenza. La ripetizione nasce da stereotipi, immagini che vivono nella sua immaginazione e che si muovono in spazi bidimensionali, privi di prospettiva, in cui pieno e vuoto si equivalgono.

“Sognamare” significa allora cogliere quell’infinito racchiuso in un attimo capace di segnare l’inizio di un tragitto, di un percorso interiore di cui la pittura si fa interprete, lasciando un margine aperto a nuovi viaggi, nuove esperienze, nuova vita, nella quale l’uomo rivendica il suo ruolo di assoluto protagonista.

Bacci ama profondamente e disegna ciò che sente abbandonandosi alle emozioni. Così in quello stato di grazia sensibile, rivela ciò che l’occhio nudo non coglie, quella bellezza e quegli universi interiori che solo la sensibilità può afferrare, proprio perché l’arte deve rendere visibile l’invisibile, e la realtà che Bacci rappresenta in modo poetico, è solo un mezzo per arrivare all’invisibile che si cela dietro, ma che è chiaro al cuore dei suoi soggetti. Bacci ci ricorda che l’invisibile è molto più vasto del visibile, così il mare, per parafrasare le parole di Baudelaire, ci guida in questo viaggio introspettivo verso lo scandaglio della nostra anima, in quegli abissi che talvolta preferiamo ignorare e che abbiamo paura a considerare, ma che sicuramente non possono rimanere indifferenti a queste immagini nelle quali il giovane pittore fiorentino, rivendica la sua libertà espressiva e un suo personale sincretismo, alla ricerca della pienezza poetica.

Matteo Corati

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